Marcello Lippi

Perché Marcello Lippi è stato l’allenatore più importante della storia della Juventus

Marcello Lippi è stato – a mio personalissimo giudizio – l’allenatore più importante della storia della Juventus e con questa affermazione non voglio levare nulla alla grandezza di Giovanni Trapattoni, capace di vincere tutto in Europa e nel Mondo. Lippi, vedremo però, è quello che ha proiettato il club bianconero verso la modernità in un calcio che nel 1987 era cambiato radicalmente per mentalità e stile di gioco anche in Italia.

La Juve ci provò 3 stagioni dopo con Maifredi ma con scarsa convinzione. La società non esisteva. Montezemolo era sempre a Roma (così denunciò anni dopo l’allenatore bresciano). In pochi mesi venne riprogrammata la restaurazione che portò scarsi risultati rispetto agli investimenti. Nel 1994 però arrivò Lippi che condusse la Juve a giocare un calcio moderno, offensivo e al passo con i tempi, anticipando Klopp e altri allenatori per certe caratteristiche tattiche.

Ha fatto scuola per il lavoro sull’intensità in allenamento e sulla forza con il compianto Giampiero Ventrone. Ma per capirne la grandezza facciamo un passo indietro e riavvolgiamo il nastro dall’inizio.

Quando ho scoperto Lippi

Vidi all’opera Marcello Lippi per la prima volta nel lontano 1987 quando allenava la Pistoiese. Ho iniziato ad apprezzarlo però l’anno dopo, quando prese in mano la Carrarese in C1, neopromossa, dopo aver vinto un campionato in C2 con Corrado Orrico. Negli anni ’80 la terza serie (ma anche la quarta) era il laboratorio più interessante, dove gente come Sacchi, Zeman, Scala, lo stesso Lippi, sperimentavano e proponevano un calcio totale, con marcature a zona quando 13/14 squadre in Serie A erano ferme al catenaccio. Una delle poche che si differenziava era la Roma di Niels Liedhom e successivamente il Milan di Arrigo (accolto però dalla critica italiana con sospetto).

La Carrarese di Lippi giocava a memoria, un calcio spettacolare, correva il doppio degli avversari ma non aveva un attaccante forte di ruolo e, dopo essere stata nelle prime due posizioni per gran parte della stagione, si assesto nella zona alta della classifica. Era stata costruita dal Maestro di Volpara (nel 1990 allenò l’Inter) nella stagione precedente, ma Lippi ebbe la capacità di valorizzarla ancor di più. Gli esterni volavano, i centrocampisti ringhiavano, la qualità sulla trequarti non mancava. Uno spettacolo per un calcio totale e veloce riproposto poi alla Lucchese in B.

Era un rivoluzionario come Sacchi, ma le sue rivoluzioni erano più silenziose.

Lippi, la firma con Moratti e il tradimento


Sapevo tutto di lui, il Paul Newman della Versilia, un Signore venerato dal gentil sesso. Avevo degli stretti amici in comune (gente che nel calcio contava davvero) e sapevo molte cose dietro le quinte anche nei suoi primi anni bianconeri.

Non potete immaginare la mia faccia quando, in una giornata uggiosa di ottobre del 1998 (erano ancora caldissime le polemiche del post Iuliano-Ronaldo di qualche mese prima), mi comunicarono che Lippi aveva già firmato con Massimo Moratti. Era dura arrivare a giugno con lui e infatti non ci arrivammo. Questa fu la prima coltellata al cuore, ma presto arrivarono anche la seconda e la terza.

Il piano originario: anche Montero e Davids all’Inter

Mi assicurarono che l’allenatore di Viareggio si sarebbe portato con sé Montero e Davids a Milano. I miei idoli. Il mondo mi crollò addosso.

Ancora nessun giornale aveva scritto del grande tradimento, non c’era sentore di un’operazione così clamorosa, scesi dalla macchina con un forte senso di nausea. Non potevo scrivere nulla o avrei perso amici e fonti preziose. Il lavoro del giornalista è questo, devi sempre proteggere le tue fonti. A volte ho messo in atto dei depistaggi clamorisi, in questo caso avevo le mani legate. In mano avevo una bomba termobarica ma non potevo usarla. Mi sentivo un leone in gabbia.

Solo un uomo con gli attributi come Moggi riuscì a convincere Davids e Montero a non lasciare la Juve (o sarebbe stata un’altra storia tra l’Inter e Marcello, fidatevi).

La notizia trapelò nello spogliatoio, ci fu l’infortunio di Del Piero, in poco tempo la Juve divenne una polveriera. La stampa milanese iniziò a ricamarci sopra sulla storia dell’anno. Si arrivò così alle dimissioni di Marcello dopo il match contro il Parma.

Ho voluto iniziare questo articolo su Lippi parlando de “Il tradimento” per farvi capire che è stato l’unico che ho perdonato nella mia vita, per quanto sia forte il riconoscimento verso Marcello Lippi. Dalla Champions a Roma, al 5 Maggio al “Cielo sopra Berlino”. Tranne la gioia del Bernabeu quando alzammo la Coppa del Mondo (l’Italia più bella quella dei 6 juventini) nel 1982, tutti i ricordi più importanti della mia vita “calcistica” sono legati a Lippi. Lui e Platini rimangono i due punti di riferimento della mia generazione.

L’estate della rivoluzione del ’94


Nel 1994, quando Moggi lo pescò dal Napoli, c’era scetticismo attorno al suo nome. Per tutta la primavera si era parlato con insistenza dell’arrivo di Sven Goran Eriksson. Ma io ero certo: con il viareggino in panchina la Juve sarebbe tornata ai fasti di un tempo. Me lo ricordavo bene nelle serie minori e poi al Cesena, all’Atalanta e soprattutto al Napoli. L’unica mia fonte di preoccupazione era la cessione di Dino Baggio al Parma in quella stagione, nonchè l’uscita di Andy Moeller.

Lo scudetto mancava dal 1986. Il Milan di Berlusconi dominava nella compravendita dei calciatori (anche con mezzi non proprio leciti, vedi le valigie di cash consegnate al Toro di Borsano per Lentini), ma in quei mesi arrivò il re del mercato: Big Luciano.

A marzo, Moggi aveva già preso Ciro Ferrara e Paolo Sousa per la sua Roma, ma una volta che fu convinto da Umberto Agnelli a sposare la causa bianconera, spostò i due giocatori a Torino (per l’ira funesta di Sensi). Andò a Lisbona e in meno di 6 ore chiuse la trattativa con lo Sporting insieme a Giraudo e Bettega. Che tempi!

Il centrocampo con Deschamps e Sousa era al top, la difesa puntellata con Ferrara, Fusi vicino al tedesco Jurgen Koheler e Massimo Carrera, pareva dare le massime garanzie.

Lippi e il capolavoro con Vialli

La vera incognita era l’attacco: c’era Roberto Baggio, la stella della squadra, il giovanissimo Alex Del Piero e Fabrizio Ravanelli (non un titolare fisso prima dell’arrivo di Marcello) più uno smarrito Gianluca Vialli che non aveva mai trovato il giusto feeling con il Trap (che lo aveva provato anche a centrocampo).

Le voci di una cessione erano frequenti, Luca voleva tornare nella sua Samp o andare all’estero. La sua situazione ricorda molto da vicino quella di Vlhaovic di oggi, seppur il serbo tecnicamente sia ancora un lontano parente del compianto asso di Cremona.

Il capolavoro di Lippi iniziò da quel momento: parlò chiaro con Vialli nei primi giorni di ritiro e gli chiese di diventare il leader indiscusso del gruppo. E così fu.

Perché è stato l’allenatore più importante

La grandezza di Marcello la si misurò proprio nel 1994. In un ambiente dove “l’unica cosa che conta è vincere” e dove chi aveva osato a proporre un calcio offensivo (Maifredi) era stato preso a pedate nel sedere. Il toscano rivoluzionò il modo di vedere calcio e il mondo bianconero con alle spalle una società fortissima.

Lippi trasformò la Juve in una macchina da goal, che giocava con un pressing asfissiante e aggressivo a tutto campo, con una linea difensiva molto alta. Si entrava in campo per vincere sempre. E il timing era giusto visto che da quella stagione il regolamento era cambiato e la vittoria la si premiava con i tre punti. Il pareggio perdeva valore.

Per me quella del 1994-95 rimane la Juventus più spettacolare di sempre. Siamo passati da un gioco confuso e improvvisato, con allenamenti che erano lontani anni luce rispetto al Milan di Sacchi e Capello, a sedute dall’intensità pazzesca. Lippi e Ventrone introdussero metodi che erano avanzatissimi in tutta Europa. Paolo Sousa era il dominatore a centrocampo, assistito da veri assalitori assetati di sangue come Conte, Di Livio e Deschamps più il giovanissimo Tacchinardi (che a volte faceva il difensore centrale per necessità).

Il pressing alto degli attaccanti altro che Liverpool…


C’è chi ha scoperto il pressing alto con il Borussia Dortmund e il Liverpool di Jurgen Klopp, ma in realtà bisogna risalire a più di 10 anni prima: alla Juventus di Lippi.

Si reinventò un reparto, nonostante il grave infortunio di Roberto Baggio che avrebbe ammazzato un leone, costruì il tridente Del Piero – Vialli – Ravanelli.
Il pressing iniziava da loro tre. Erano i nostri tre attaccanti i primi difensori. E non c’era scampo per nessuno. Con alle spalle Paolo Sousa – Conte (o Di Livio) – Deschamps, non c’era respiro per gli avversari. Squadra cortissima.

Ero a Torino quando ci fu il cambio della guardia. Juventus-Milan: cross in area di rigore, Costacurta va a vuoto e Baggio la infila di testa: 1-0. La leggenda vuole che Robertino chiamò la palla al compagno di nazionale pronunciando: “mia!”. Il centrale la lasciò alle sue spalle pensando a una chiamata del suo portiere.

La Juve di Lippi vinse tutto, giocando un calcio spettacolare in un ambiente ancora con il catenaccio incrostato negli spogliatoi e nella sede della società.

Le quattro finali di Champions: il perché delle sconfitte

Peccato solo per le finali perse, spesso da episodi sfortunati (gli arbitraggi contro il Dortmund e il Real Madrid gridano vendetta). Ma bisogna arrivarci a 4 finali di Champions.

Nella Juventus Trapattoni è arrivato a 2 (una vinta e una persa con la squadra nettamente più forte ad Atene), Allegri idem a 2 (perse entrambe contro due avversarie però superiori). Vycpalek (lo zio di Zeman) 1 (Belgrado contro l’Ajax dei marziani).

Se proprio devo darmi una spiegazione logica alle 3 finali perse, riguarda la condizione atletica: la Juve arrivò all’ultimo atto troppo sulle gambe per via del doppio impegno. A Torino vincere il campionato è un obbligo ma anche un limite.

Quando il doppio impegno divenne un limite

L’unico anno che la squadra non ne volle sapere di pensare al campionato, la stagione del 1995-96, vinse contro l’Ajax, seppur ai rigori ma dopo aver dominato tutto il match contro la squadra più forte del Mondo del tempo. La distrusse con le sue stesse armi: pressing e possesso palla, correndo come dei dannati.

Ricordo in quella stagione il match d’andata contro il Milan a San Siro in campionato, ero presente e l’episodio fa pensare: 2-0 subito con Simone e Weah scatenati, la Juve la sta recuperando con Del Piero ma si fa leggermente male Vialli (pochi giorni dopo si sarebbe giocato in Coppa) e Lippi preferì rimanere in 10. Per poco non la pareggiamo nei minuti finali. Vinse il campionato Capello con i rossoneri, noi trionfammo a Roma.

La Juve aveva mollato a ottobre il campionato per puntare tutte le sue fiches sulla Coppa dalle grandi orecchie. Lo aveva fatto solo nel 1986… quando arrivò sesta, dietro al Verona campione e al Toro secondo.

Nel 2003, la finale peggiore. Dopo aver battuto Barcellona e Real Madrid, arriviamo in finale ma senza Pavel Nedved (il giocatore più in forma e decisivo in Europa in quel momentom non a caso vincerà il Pallone d’Oro). A Manchester Lippi sbagliò la lettura della partita con Montero spostato a sinistra. L’inizio fu da incubo ma poi cambiò e la squadra per poco non vinse ai supplementari. La maledetta…

Le vittorie dimenticate e quella volta dei 4 attaccanti contro la Germania


Anche i grandi sbagliano. C’è chi lo ricorda per quel match, a me piace invece pensarre alle 5 finali raggiunte includendo anche quella con il Parma sfortunatissima in Coppa Uefa. Bisogna arrivarci sempre in finale e non è facile.

Ajax, Borussia Dortmund, Real Madrid, Milan. La vittoria con il River a Tokio e con il PSG in Supercoppa. E tante semifinali stravinte: Nantes (nei quarti Real) Ajax, Real Madrid (nei quarti Barcellona), Monaco.

La grandezza di Lippi è proprio la sua capacità di dominare in Europa con un calcio offensivo (soprattutto la sua prima Juventus).

E’ stato campione del Mondo sia a livello di club (Intercontinentale contro il River) e Nazionale (2006). In Germania il titolo iridato maturò in un clima totalmente ostile contro di lui e la squadra. Anche al tempo, certa stampa non perdonava al tecnico e ai giocatori di essere juventini. Ma ha avuto ragione lui. Pensiamo ai 4 attaccanti schierati nei supplementari a Dortmund contro la Germania che ci consentirono di andare in finale. Una mossa coraggiosa e vincente. Solo lui e Capello avevano la capacità di cambiare e leggere le partite in corso.

Ha vinto tutto anche in Asia.

Lippi un grande allenatore e un grande uomo. Buon Compleanno Marcello.

Il suo palmares:

– 5 Scudetti Vinti
– 1 Champions League europea
– 1 Champions League asiatica
– 4 finali di Champions UEFA
– 1 Coppa Intercontinentale
– 1 Campionato del Mondo FIFA
– 1 Coppa Italia

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