DIno Zoff Coppa Uefa

La storia della Juventus operaia più bella di sempre: la Juve di Dino Zoff

Una delle Juventus che più ho nel cuore non era una squadra forte tecnicamente ma aveva una Dignità calcistica e una Voglia di Vincere fuori dal comune. Una Juve operaia e che, alla fine, contro il pronostico di tutti, vinse. Era un team che incarnava il vero DNA Juve, con una difesa scarsa, un centrocampo modesto, un attacco formato da due attaccanti pescati dalla Serie B. Eppure a quei ragazzi sarò sempre grato e li porterò sempre nel cuore.

Era da quattro anni che noi juventini non vincevano nulla, quando eravamo stati abituati bene con la Juve di Michel Platini che dominò in Italia e non solo.

La squadra di Zoff sputava sangue in campo e alla fine portò a casa due trofei importanti nella stagione 1989/90, una Coppa Uefa che equivale quasi a una Champions di oggi (giocavano le seconde, terze e quarte dei migliori campionati) e la Coppa Italia vinta contro una delle squadre più forti del decennio (il Milan di Berlusconi e Sacchi).

Il valore aggiunto? Zoff e Boniperti trasmisero la vera mentalità vincente

Erano gli anni d’oro dei rossoneri (che vinsero due Coppe dei Campioni), del Napoli di Maradona, della Sampdoria di Vialli e Mancini, dell’Inter del Trap dei record e poi c’era la Juventus allenata da un monumento bianconero come Dino Zoff. Era lui il valore aggiunto che, con Boniperti, riusciva a trasmettere la vera mentalità vincente bianconera.

Arrivarono quarti in campionato (che fu un miracolo visto i valori in campo) ma diedero il meglio di sé nelle Coppe. Erano i giorni nei quali Boniperti, per la prima volta, pronunciò in un’intervista la mitica frase: “vincere non è importante, è l’unica cosa che conta…”, un modo per caricare l’ambiente perché la squadra soffriva di un gap tecnico rispetto agli avversari.

Zoff e Boniperti sapevano che avrebbero lasciato a fine stagione, il loro ciclo era incredibilmente finito per lasciare spazio al calcio di Bollicine Gigi Maifredi (un tecnico dalle idee interessanti ma incompreso e lasciato solo come Sarri dopo pochi mesi) e di Luca Cordero di Montezemolo, uomo di fiducia dell’Avvocato.

La squadra di Zoff era arrembante, spesso passava anche in vantaggio per due reti ma si faceva rimontare, per via di una difesa un pò ballerina.

Le difficoltà economiche e sul mercato dal 1986-1989

Erano gli anni che la Famiglia non poteva scucire un soldo (la FIAT era in crisi e i finanziatori come MedioBanca non ne volevano sapere) e le casse del club bianconero piangevano mentre i nostri avversari compravano campioni e giovani molto forti, noi pescavamo in provincia e neanche le prime scelte. Boniperti doveva tirare la cinghia. Erano gli anni in cui si presentò a casa Boniperti con un mazzo di fiori (per la Signora) Bruno Giordano che andò via sbattendo la porta (e Ferlaino al Napoli lo accolse a braccia aperte). Erano gli anni che dall’Atalanta prendevamo i Magrin (con tutto il rispetto) perché i Donadoni andavano a Milano.

Berlusconi era sbarcato nel calcio e aveva una visione differente mentre Boniperti ancora non voleva sedersi a tavolino con i procuratori. Un modo di fare mercato agli antipodi, ma oramai il calcio era cambiato.

Fino al 1986 avevamo vinto tutto, avevamo una squadra top mondiale con il Cristiano Ronaldo degli anni ’80, Michel Platini che vinse 3 palloni d’oro. Quando si ritirò nel 1987 la squadra era da rifare da zero, Trapattoni era andato all’Inter mentre i Tricella e i De Agostini non erano sufficienti per tornare a vincere.

Si sbagliò inoltre sul mercato alcune mosse decisive come quella del bomber del Liverpool Ian Rush, da molti ritenuto l’attaccante più forte d’Europa. Ma il gallese soffrì in una Juve molto catenacciara come quella di Rino Marchesi, inoltre il ritirò anticipato di Michel lo spiazzò. Non aveva vicino chi poteva fornirgli assist decisivi. Fece solo una stagione e tornò nella sua Liverpool.

Michelino Laudrup era un potenziale fuoriclasse (per Platini il miglior giocatore al Mondo in allenamento) ma era ancora giovane e aveva una carenza di personalità per prendersi la squadra sulle spalle.

Agnelli provò a comprare mezza Sampdoria

Boniperti non aveva budget per scalfire la concorrenza, Agnelli tentò un paio di volte di portare – su sua iniziativa personale – Vialli, Mancini e Vierchowood in bianconero ma Mantovani non li cedeva neanche per 50 miliardi di lire. Avrebbe dato il suo benestare solo in caso di cessione della Sampdoria a Garrone, ma l’operazione si concretizzò dopo aver vinto lo scudetto del 1991.

Negli ultimi due anni di transizione (1988-90), Boniperti e l’Avvocato, affascinati dal calcio totale dell’URSS di Lobanoski (vice campione d’Europa nel 1988), provarono con due spicci a prendersi il fantasista ucraino Zavarov e il metronomo Aleinikov (uomo degli equilibri), grazie ai buoni uffici con Gorbaciov (la FIAT aveva fabbriche anche in Unione Sovietica).

Prima di vedere Baggio, Hassler, Di Canio in bianconero (acquistati nella primavera del 1990 da Montezemolo con alle spalle la potenza di fuoco di FIAT), ci attendevano mesi – in teoria – di sofferenza che però non si rivelarono tali, ma forieri di vittorie inaspettate.

Juve 1989/90: una squadra operaia ma vincente

Nel 1989/90, l’esonerato Dino Zoff, con grande dignità, riuscì a stringere intorno a sé i suoi ragazzi. La formazione titolare non vedeva grossi nomi: Tacconi, Napoli (Bruno), De Agostini, Galia (Fortunato), Dario Bonetti, Tricella, Aleinikov, Barros, Casiraghi (Zavarov) Marocchi, Schillaci.

Quel anno ci salutò anche una bandiera come Antonio Cabrini ma la Juve sapeva cosa voleva dire scendere in campo per vincere anche senza i suoi veterani. Purtroppo qualche mese prima ci lasciò anche Gaetano Scirea, vice-allenatore, per un disgraziato viaggio in Polonia ad osservare una squadra avversaria. Almeno quella coppa ce la portammo a casa.

La difesa (tranne i nazionali Stefano Tacconi e Gigi De Agostini) era il nostro tallone d’achille. A centrocampo c’era Galia (che con i suoi inserimenti e goal si rivelò decisivo nelle partite chiave), arrivò – come detto – all’ultimo secondo il baffuto biellorusso Aleinikov (nazionale nell’URSS in disfacimento), strappato dal Genoa. Era un mediano metodista ma con un intelligenza tattica fuori dal comune, un equilibrista.

Un anno prima era stato acquistato (veramente per un tozzo di pane) la stella ucraina Zavarov (che giocava nella Nazionale di Lobanovski) ma non si ambientò mai: pensate che guadagnava solo 2 milioni e 700mila lire al mese (poco più di 1.300 euro).

Estate 1989: due colpi decisivi dalla Serie B di Boniperti

Il mercato non era aperto come oggi (post Bosman) e si potevano schierare solo 3 stranieri. Chi aveva gli italiani forti se li teneva.

Così il nostro presidente fece due colpi da maestro in Serie B: prese il bomber del Messina Totò Schillaci (forgiato dal filosofo Scoglio) che aveva un tiro che fulminava i portieri e una fame da cannibale. Pierluigi Casiraghi, giovanissimo centravanti-ariete del Monza, un guerriero che non aveva paura di nessuno e che in Coppa Uefa diede vita a dei duelli epici. In quel caso riuscì a bruciare Galliani che a Monza giocava in casa. Il Milan aveva in rosa troppi attaccanti e Boniperti ne approfittò.

Venuti su dal nulla, sorpresero difese avversarie e critica, Schillaci addirittura conquistò la Nazionale e il Mondo, diventando capocannoniere a Italia 90.

Poi c’era un centrocampista di un’intelligenza tattica sopra la media come Marocchi (anche lui Nazionale) e la formica atomica Rui Barros, velocissima mezz’ala-rifinitore che distrusse il grande Milan di Sacchi con i suoi contropiedi. Finì 3-0 e Barros segnò una doppietta. Quella sconfitta aprì la crisi rossonera che perse lo scudetto all’ultima giornata in favore del Napoli di Maradona (per uno scudetto molto oscuro per la monetina di Alemao a Bergamo e per alcuni arbitraggi discutibili contro il Milan, soprattutto a Verona).

La rivincita con i rossoneri si consumò nella doppia sfida nella finale di Coppa Italia. Pareggio all’andata a Torino, nel match di ritorno un goal del mitico Galia consentì alla Juve di compiere il miracolo e di vincere da sfavorita contro una delle formazioni più forti d’Europa (reduce da due Coppe dei Campioni).

In finale di Coppa Uefa ci ritrovammo di fronte a un futuro bianconero: il Divin Codino Roberto Baggio e una Juve tutto cuore e con una voglia di vincere da fare paura, piegò la Fiorentina. Una squadra che solo perché si chiamava Juventus dava il 150% in campo.

E’ stata la Coppa della grande Dignità di Dino Zoff e Giampiero Boniperti. Il primo non ritornerà mai più in bianconero (consapevole di essere stato vittima di una grande ingiustizia) mentre il Presidente si ripresenterà in Corso Galileo Ferraris dopo solo un anno a seguito del fallimento di Montezemolo e di Maifredi.

Zoff andò alla Lazio di Calleri (prima dell’acquisto del discusso finanziere Cragnotti) ad allenare prima di diventarne addirittura Presidente del club. Di sicuro portò a Roma la vera mentalità vincente juventina.

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