La Juve ha un programma solido e concreto sui giovani e non prevede voli pindarici.
Ma il vero problema è il dibattito che si è sviluppato in questi anni che è fuorviante perché solo la propaganda parla di valorizzazione di giovani nella Juventus, ma se anche ieri sono scesi in campo 11 giocatori esperti su 11, di cosa parliamo? Parliamo di un allenatore che considera giovani ragazzi di 23 anni? Secondo questa mentalità dovrebbero stare in prestito e giocare in Serie C fino a 25.
Se Yildiz non trova alcuno spazio neanche sullo 0-0 contro il Torino, di cosa vogliamo parlare? Questo Torino oltretutto che ha smarrito la sua storia e la sua grandezza quando ha smesso di investire e puntare proprio sui giovani.
La gestione di Yildiz e di altri giovani lascia parecchio a desiderare, l’ho scritto nel post di sabato e non voglio ripetermi.
Se parlo di giovani alla Juve per il futuro questo non significa che non scenderanno in campo giocatori esperti pagati a peso d’oro come Vlahovic (90 milioni!) , Bremer (48 milioni), Chiesa (60 milioni) e i vari nazionali Danilo, Rabiot etc etc. Ma oramai il tifoso è abituato a ragionare a scompartimenti stagni: se parli di giovani allora devono scendere 11 Under 23. Non esiste il concetto di analisi equilibrata e buon senso. Ogni spunto è buono per ammazzare sul nascere un’analisi costruttiva e critica.
La Juve oggi è formata da 11/11 da giocatori esperti con diversi panchinari giovani.
Il business plan della Juventus sui giovani
Ma qual è l’obiettivo della società che si intuisce anche in modo indiretto dalle parole di Elkann? Cosa vuol dire puntare sulla Next Gen per il futuro?
Ve lo spieghiamo con il business plan (allegato al piano illustrativo dell’aumento di capitale), un documento ufficiale pubblicato dalla Juventus, rispetto alla disinformazione di certi giornali che piazzano in ogni operazione di mercato i giovani bianconeri.
Oggi analizziamo un punto focale: l’obiettivo del club è quello di inserire nella rosa in modo stabile 8 giocatori (ne parlava Andrea Agnelli nell’ultima assemblea degli azionisti). Le parole di Elkann, leggendole con il documento programmatico ufficiale della Juve in mano, devono essere interpretate in questo senso.
I 7/8 giocatori più talentuosi devono fare parte della rosa, considerando che oramai gli impegni nazionali e internazionali prevedono stagioni lunghissime che possono arrivare a 60/70 partite in alcuni anni. Questa mossa può consentire a Giuntoli di abbassare – nelle prossime stagioni – sensibilmente il monte ingaggi.
Perché non si possono fare scambi
Per questa ragione, quando leggo di improbabili scambi sui giornali mi vengono i brividi di come sia scaduto tutto. La Juve, nel documento ufficiale, prende le distanze dal concetto della fabbrica da plusvalenze (abbastanza artificiose) che era una volta e di scambi, anche perché vi è un impedimento contabile e tecnico ben preciso per una società quotata in borsa (c’è una forte discrasia tra le interpretazioni della Consob e di chi redige i bilanci). Impossibile oggi fare scambi per le società quotate, il rischio giuridico è alto.
I giovani meno forti saranno ceduti, ma non le giovani stelle, a meno che non siano loro a chiedere le cessioni (Hujisen su tutti).
Il target: avere 8 giovani del vivaio nella rosa
L’ Obiettivo sportivo concreto è quindi uno e solo uno: avere 8 giovani in rosa per evitare di pagare gli Alex Sandro 12 milioni a stagione o i De Sciglio (quando un Barbieri qualsiasi farebbe una figura migliore, pur non essendo un campione, ma un giocatore affidabile si che, se allenato, te lo puoi costruire in casa).
Ma solo alla Juve, considerando il virus che si è propagato e la disinformazione, passa il messaggio che se hai 8 giovani in rosa perdi. Si ritorna sempre al punto: i giovani vanno allenati con criterio, con cultura del lavoro che deve tornare alla Continassa, non con sedute brevi di 40/50 minuti e poco intense. I giovani vanno allenati e bisogna crederci.
Il rumor: salta il tour negli USA? Probabile…
Su questo aspetto Giuntoli sta già iniziando a programmare il futuro: voci molto attendibili mettono in dubbio che la Juventus parteciperà alla prossima tourneè statunitense. Vi ricordate l’ultimo Napoli dello scudetto di Spalletti-Giuntoli? Andò in montagna a fare la preparazione mentre noi eravamo a cazzeggiare negli USA con Pogba infortunato che non si voleva operare. Ecco, bisogna svoltare e soprattutto allontanare il virus della disinformazione e di concetti al limite del risibile che ci hanno levato la nostra linfa vitale e il DNA vincente.
Ma dobbiamo essere consapevoli che le macerie ce le porteremo avanti per anni, non a caso da società modello siamo passati a prendere le pallonate anche dal Maccabi Haifa e perdere 5 partite su 6 in Champions League venendo umiliati sia in Israele che dal Benfica.
La mentalità perdente che si è diffusa a Torino: le macerie mentali in eredità
Giocare il derby nel secondo tempo solo per pareggiare, contro una squadra che ha 18 punti in meno dei tuoi in classifica, la dice lunga su come siamo finiti in basso. Alla Juventus non è più un problema solo della mentalità provinciale che si sta diffondendo come un virus all’interno dello staff tecnico e dello spogliatoio e che ha intaccato parte della dirigenza e anche di una discreta fetta della tifoseria, abituata ad accettare uno 0-0 dopo aver rinunciato a giocare per tutto il secondo tempo. Il reale problema SONO LE SCORIE MENTALI E LE MACERIE che sono state prodotte in questi anni e che stanno svalutando alcuni valori nel club, in particolare una CULTURA CALCISTICA E DEL LAVORO che non ci appartiene più.
Solo a Torino si ascoltano nel 2024 con convinzione assunti fuori da ogni logica del tipo “che solo giocando male puoi vincere” o “con i giovani non si vince”. Concetti al limite del patologico e del risibile.
Non esiste più cultura calcistica o la stiamo perdendo
Stiamo perdendo un certo concetto di cultura calcistica per via di luoghi comuni che stanno imbastardendo idee e confronto di idee nell’ambiente bianconero.
Luoghi comuni introdotti come un virus che ci sta uccidendo. Il dibattito è oramai polarizzato tra bianco e nero, non bianconero.
Ma la cultura calcistica esisteva fin dagli anni ’30 (stiamo parlando del secolo scorso) in questo club grazie a Edoardo Agnelli e gli eredi si sono rivelati, fino a poco tempo fa, in grado di portare avanti questo punto di forza.
La crisi di risultati è quasi sempre conseguenza della crisi di gioco
Giovanni “Gianni” Agnelli
A portare avanti questo concetto è stato Giovanni Agnelli, l’Avvocato e suo fratello Umberto.
Al termine di una partita, alle consuete interviste, il mitico Bisteccone Galeazzi chiese all’Avvocato: “è una crisi di risultati o di gioco?” in merito a un match perso dalla Juve.
E l’Avvocato in modo perentorio rispose tagliando la testa al toro: “la crisi di risultati è quasi sempre conseguenza di crisi di gioco”.
Oggi si brancola nel buio in balia di slogan populisti
Non si può aggiungere altro se anche negli anni ’90 si aveva questa lucidità mentre oggi si brancola nel buio perché c’è solo una confusione di idee, con una propaganda che si è diffusa nell’ambiente juventino e che ha confuso le idee a tutti.
Nel frattempo alla Continassa neanche sanno cosa sia oramai la Cultura del Lavoro con una squadra che passeggia per 45 minuti. Tra gli addetti ai lavori parlano, sanno benissimo quale sia il pensiero anche dei dirigenti attuali nei confronti di quello che viene fatto e non viene fatto a Torino sul campo.
La cultura del lavoro nel 1994 di Lippi e Ventrone ripresa da Conte
Lippi e il povero Gian Piero Ventrone, nel 1994, avevano portato a Torino la cultura del lavoro e questa mentalità che aveva proiettato la Juventus avanti rispetto a tutta la concorrenza, non a caso abbiamo giocato, in quel periodo, il più alto numero di finali di Champions e la squadra era stata costruita senza aumenti di capitale, a budget zero.
Quella Juve giocava a un’intensità pazzesca e sull’intensità abbiamo smesso di lavorare 10 anni fa. Mentre l’Atalanta e altri club medi ne hanno fatto un mantra, noi ci siamo defilati con un progetto tecnico medioevale.
Eravamo avanti con pressing alto (quello che poi ha applicato 20 anni dopo Klopp) e una preparazione atletica maniacale in campo, fuori con una sostenibilità economica dovuta a dirigenti che andavano a prendere giocatori emergenti e lo staff li valorizzava. Ma senza cultura del lavoro sul campo non saremo andati da nessuna parte.
Concetto ripreso da Conte che, non a caso, aveva Ventrone come preparatore atletico fin quando un male incurabile non ha purtroppo rotto questo binomio vincente.
“Giocar male per vincere”, siamo al limite del risibile
Oggi tutto questo è scomparso: siamo tornati alle corsette del Trap pre-1994? Come è possibile vedere una squadra che gioca una partita a settimana, passeggiare per il campo?
Ma il problema sta all’origine è il decadimento della cultura calcistica nel nostro ambiente.
Ma si può credere che “solo giocando male si vince?”. Un concetto risibile.
Come si può pensare che facendo due tiri in porta a partita si può vincere una partita? A si forse con Ronaldo è possibile ma ti costa 60 milioni l’anno.
E se l’attaccante sbaglia due occasioni (Vlahovic) tutti a puntare il dito contro di lui. Al City Halland ha 5/6 occasioni a match, c’è una bella differenza.
L’alibi di oggi è mettere la croce addosso al nostro attaccante che ha due palle a partita. L’importante è costruire alibi per salvare la faccia all’allenatore, non analizzare il problema.
I concetti patologici di questa gestione e della propaganda
“Giocar male per vincere” è un concetto patologico che sfama solo chi non ragiona, i robottini e ultras che venerano certi personaggi, la ragione non esiste in questo processo mentale. Ma il problema non sono i tifosi ma i dirigenti che hanno confuso l’amicizia con la Juventus e hanno permesso questo imbastardimento culturale calcistico.
Senza organizzazione e intensità non vai da nessuna parte nel 2024
La vittoria nel calcio la si raggiunge grazie sia all’organizzazione di gioco e al valore dei giocatori ALLENATI (con determinati canoni). Senza organizzazione e intensità oggi non vai da nessuna parte, anche la peggior provinciale ti tritura sul piano del ritmo, anche il Toro che vale 20 punti in meno di te come minimo.
E’ facile poi che nel momento clou della stagione raccoglie 11 punti in 11 partite. Quando gli altri vanno a mille, tu hai una media da retrocessione.
Il dibattito fuorviante tra bello e cattivo gioco
Dividere il dibattito e i concetti in base al bel gioco o cattivo gioco, già qui denota una mancanza culturale.
A me sinceramente di fare tiki taka, con possesso palla al 90% non interessa, come non mi interessa una difesa a oltranza 70 minuti a partita.
Un dibattito costruttivo dovrebbe essere tra calcio organizzato e calcio disorganizzato. Un dibattito che non esiste anche perché tutti gli altri club del mondo l’hanno capito, alla Juve invece resistono concetti da Medioevo calcistico.
Per vincere oggi bisogna avere giocatori forti, allenati che corrono e che sanno dove devono dare la palla, conta l’organizzazione e giocare con intensità, non passeggiare in campo.
Per me è calcio (seppur in un contesto degli anni ’80 quando le squadre andavano al rallentatore almeno fino al 1987) vedere Michel Platini alzare la testa e servire in corsa Zibi Boniek sui piedi a 70 metri, con un piano strategico ben definito con altre tre alternative tese allo smarcamento, con Cabrini che fa il movimento a sinistra, Tardelli che va nello spazio e con Rossi che fa un contro movimento, mentre Scirea e Bonini si sganciano e si propongono come seconda alternativa in fase di possesso.
Per me è bello vedere Deschamps, Paolo Sousa o Davids e Conte fare un pressing asfissiante che massacra gli avversari. Certo, stiamo parlando di giocatori di spessore, ma senza allenamento con criterio, anche loro avrebbero fatto delle belle figurette perché se non hai benzina nelle gambe non vai da nessuna parte.
Il problema è di cultura calcistica e Giuntoli avrà un bel lavoro da fare, perché il dibattito si è imbastardito in concetti polarizzati che ci porteranno poco lontano.
“Con i giovani non vinci”, la storia del calcio dice il contrario
Parli di valorizzazione dei giovani e leggi alcuni commenti sconfortanti che dimostrano il livello basso nel quale siamo caduti, subito leggi “con i giovani non vinci”.
In un ambiente sano, dove la ragione e il buon senso prevalgono, è chiaro che ci stiamo riferendo a un futuro sostenibile con una squadra che deve essere un mix di giocatori esperti e giovani. Funziona così non solo alla Juventus ma in tutti i club mondiali. Dovrebbe essere un presupposto scontato.
Oramai siamo condannati a portarci dietro scorie e macerie mentali per anni, dopo questa propaganda che si è diffusa come un virus con slogan più elettorali e populisti che concetti calcistici aderenti alla realtà.
il problema in Italia è ragionare in modo polarizzato e a compartimenti stagni. Perché bisogna partire dall’ assunto che se impieghi i giovani (con vicino a giocatori esperti) non ottieni risultati?
Queste sono le macerie mentali e psicologiche che lascia questo allenatore in eredità.
La storia è ricca di esempi di società dominanti che hanno aperto cicli vincenti con i giovani. Il Manchester United di Ferguson non riusciva a vincere da 20 anni ma arrivarono 6 giovani in prima squadra (merito anche del manager scozzese): Giggs, Beckham, Scholes, Butt e i due fratelli Nevile, all’Ajax avviene in modo ciclico, il Real Madrid è tornato protagonista dopo una lunga flessione con la quinta del Buitre (Butraguegno, Michel, Sanchis, Pedraza, Martin Vasquez), il grande Barcellona che ha dominato in Europa l’ha fatto con una base tutta della Masia: Xabi, Iniesta, Messi, Puyol, Pique, Valdes, Busquets). Con i giovani non si vince?
Certo, sono anche fenomeni generazionali di club che hanno lavorato molto bene nei decenni sui giovani sia nel reclutamento che nel vivaio e soprattutto in prima squadra. Ma la Juve sembra avere le idee chiare (grazie a Giuntoli) ed ha buttato giù un programma pragmatico per arrivare all’obiettivo finale: 8 giovani nella rosa, con un monte ingaggi sostenibile, in modo tale da liberare risorse extra per ingaggiare i campioni del quale ogni grande club ha bisogno.
Ma c’è anche un altro aspetto FONDAMENTALE. I giovani cresciuti nel vivaio danno un’identità alla squadra e un attaccamento che, in alcuni momenti della partita, sono valori possono fare la differenza. Anche nei frangenti più difficili e di crisi. Marchisio, ne è un esempio di un giocatore portatore di valori e mentalità vincente nella Juventus.
