Nella storia che vi stiamo per raccontare, capirete l’importanza di onorare nel migliore dei modi una competizione internazionale (Fifa Club World Cup) che porterà comunque una squadra a essere nominata “Campione del Mondo”.
Vi parleremo delle prime avventure, poco convinte, della Juventus nella Coppa dei Campioni e di quello che oggi verrebbe definito “Dream Team” formato dal giovanissimo Presidente Umberto Agnelli per una delle squadre più spettacolari e ricche di talento della storia bianconera, grazie a una delle menti più brillanti e alle sue ambizioni.
Per capire il rapporto complesso della nostra amata Juve con l’Europa bisogna segnarsi una data: 12 ottobre 1960, a Sofia. Da quel momento, il sospetto che alla Juve interessi più vincere il campionato italiano che la Coppa più prestigiosa è lecito, nasce per alcuni la Maledizione della Coppa dei Campioni quel giorno, alla seconda partecipazione del club torinese.
Prima però di fare questo viaggio nella storia, ribadisco un concetto importante (che con la famosa cravatta è stato trasmesso anche da John Elkann al gruppo tre giorni fa alla Continassa): questo impegno internazionale non è una tournee per vacanzieri solo per farsi belli negli States.
Dalla Coppa Intercontinentale al Mondiale
Una volta esisteva la Coppa Intercontinentale (vincitrice Coppa Libertadores contro vincitrice Coppa dei Campioni) che era una manifestazione con un grandissimo fascino (prima con mitiche partite da andata e ritorno che favorivano in Sud America la caccia all’europeo in campo, poi con la finale secca): la Juve la affrontò la prima volta da vice-campione d’Europa, a Roma, nel 1973, in sostituzione dell’ Ajax e fu battuta dall’Indipendiente in un match che era “sentito “ come un’amichevole (con trafiletti sui giornali).
Fino agli anni ’90 e primi anni 2000, chi vinceva l’Intercontinentale era considerato Campione del Mondo, ma – avervi partecipato – molto probabilmente – senza aver vinto la coppa dalle grandi orecchie, portò l’ambiente juventino a non esserne così coinvolto nel 1973 (diverso nel 1985 e nel 1996 quando la vincemmo a Tokio).
Poi c’è stato (e c’è tutt’ora) il frigido Mondiale per Club della FIFA in forma ridotta (con le vincitrici delle Confederazioni) che, con il calo di competitività delle sudamericane, ha perso di ogni fascino, in location che con il calcio tradizionale (con tutto il rispetto) non hanno nulla a che fare, ma portano sempre un titolo iridato in bacheca.
La FIFA ha però fatto le cose in grande a questo giro: ieri al mitico Rose Bowl di Pasadena (stadio che evoca antichi fantasmi del Divin Codino e di Baresi in lacrime) c’erano la bellezza di 80.619 spettatori per PSG-Atletico Madrid, segno evidente che quando le squadre sono di cartello, anche negli USA il calcio tira.
Che Infantino voglia creare una Superlega mondiale è oramai il segreto di pulcinella (e la denuncia è arrivata dal The Guardian) con alcuni club che avrebbero diritto permanente di partecipazione ogni 4 anni.
Ma il nostro racconto affonda le radici oggi sulla vecchia coppa dalle Grandi Orecchie.

La Juventus a fine anni ’50, Umberto crea una magia
Nelle prime edizioni della Coppa dei Campioni la Juventus è assente (si qualifica solo la vincitrice del campionato), è reduce da un decennio assai travagliato per via del dominio economico delle due squadre di Milano, Milan e Inter. A tal punto che a Torino si parla di una fusione cittadina tra la Juventus e i granata, l’idea (sponsorizzata dalle istituzioni cittadine) è quella di creare una polisportiva finanziata da sponsor piemontesi importanti (ne riparleremo).
L’opinione pubblica, i tifosi e i giornali si oppongono e il Presidente Umberto Agnelli alla fine gira pagina in fretta. Da lì a poco ci sarà la svolta.
Il 4 luglio del 1957, la Fiat lancia l’erede della Topolino, la Nuova Cinquecento che porta l’azienda a un successo senza precedenti, un successo di tutta l’industria italiana, siamo nell’epoca del Boom economico spinto anche dal Piano Marshall.
I due colpi galattici: Charles e Sivori
Così il giovane e illuminato Umberto non bada a spese in quegli anni e acquista dal Leeds il Gigante Buono John Charles e dal River Plate (al termine di un concitato consiglio di amministrazione) Omar Sivori, per cifre per l’epoca fuori da ogni logica: per il gallese oltre 105 milioni delle vecchie lire mentre per l’astro nascente (e ruggente) argentino, El Cabezon, 180 milioni.
Gestire però il business della FIAT è assai complesso anche negli anni ’50, tra la pressione dei sindacati e delle banche creditrici, più della politica (pensiamo solo ai finanziamenti pubblici che hanno sostenuto lo sviluppo dell’industria italiana grazie al piano americano Marshal di ricostruzione dell’Europa). Meglio sempre mantenere il basso profilo, soprattutto in un settore esposto mediaticamente come il calcio.
Il capo famiglia, Gianni Agnelli, all’inizio cerca di far riflettere il fratello sulle conseguenze di quelle operazioni che possono provocare delle reazioni tra i sindacati (a fine anni ’70 ha desistito per questa ragione per Maradona ma l’Italia era sull’orlo della guerra civile) e sull’opinione pubblica ma, essendo un grande amante dei Campioni, alla fine fa solo finta di opporre resistenza e quando lo avvisano che il fratello andrà avanti per la sua strada e vuole acquistare – a ogni costo – il giocoliere sudamericano, l’ Avvocato sorride (Sivori sarà uno dei suoi grandi amori calcistici insieme a Platini) e non commenta.
Umberto Agnelli: vincente e illuminato, nel 1958 parlava di diritti televisivi…
Umberto Agnelli è stato uno dei Presidenti più vincenti, giovani e illuminati della storia bianconera. Pensate che nel 1958, per la prima volta, l’Italia non si qualifica ai Mondiali (oggi è purtroppo la regola) e la Coppa del Mondo viene trasmessa in diretta televisiva, è una novità assoluta e Pelè, solo 17enne, conquista il Mondo.
Il Dottore (così viene soprannominato) rilascia un’intervista a Hurrà Juventus – da giovanissimo – sul fatto che le televisioni possono finanziare i club con la trasmissione delle partite in televisione. Già a fine anni ’50 Umberto Agnelli è consapevole che i club di calcio devono sostenere spese sproporzionate e che l’unico modo per sostenere il mantenimento delle squadre di calcio sono i soldi delle televisioni (Berlusconi nei primi anni ’80 intuisce invece il potenziale del calcio nella raccolta pubblicitaria e crea il Mundialito che la Juve vincerà nel 1983, classificandosi al primo posto davanti a Flamengo, Penarol, Inter e Milan).
Il più giovane degli Agnelli è avanti 40 anni: pensate che la Premier League inizia a vendere i diritti televisivi nei primi anni ’90, la Serie A a Tele + nel 1993 per la prima volta. E secondo me Andrea Agnelli si è ispirato proprio al padre in alcuni progetti molto ambiziosi ma forse troppo in anticipo con i tempi.
L’alleanza Agnelli-Berlusconi sui diritti tv
La legge sui diritti tv viene approvata nel 1980. La Fifa lo aveva intuito da parecchio tempo per mettere le mani su un business colossale, con la nomina del brasiliano João Marie Faustin Godefroid de Havelange nel 1974 (si iniziò a parlare di sponsor con Adidas e diritti televisivi in maniera seria per i Mondiali).
Nel 1994 Umberto torna in sella (Mediobanca nel 1993 non gli aveva permesso di prendere il controllo di FIAT nonostante il supporto del fratello Gianni) alla Juventus con Moggi-Giraudo-Bettega. La prima cosa che fa, stringe un’alleanza strategica proprio con il Milan di Berlusconi sui diritti televisivi. I due (insieme al Marsiglia di Tapie) con la fondazione del G-14, porteranno la UEFA a dover creare la Champions League e mandare in soffitta la Coppa dei Campioni.
La Maledizione della Champions come è nata – prima parte
Ne abbiamo ancora di cose da raccontarvi nella seconda parte, seguiteci. A presto|
Per la foto in copertina si ringrazia Juventus . com
