Ricordo un’intervista di Michel Platini, fine anni Ottanta. Era appena diventato commissario tecnico della Francia e, con quella sua voce un po’ pigra e aristocratica, spiegava l’evoluzione del calcio di quegli anni, un calcio che era cambiato molto in pochi mesi, si era passati dalla marcatura a uomo a quella a zona, con la difesa in linea.
Allora, disse, la Juventus faticava senza un regista in difesa. Scirea si era appena ritirato, lasciando un vuoto di luce e pensiero. C’era Roberto Tricella (libero del Verona di Bagnoli Campione d’Italia), libero elegante ma timido per sostenere la pressione alla Juventus, troppo corretto per comandare il traffico. Platini guardava oltre i confini e indicava esempi: Laurent Blanc nella sua Francia, un centrale che aveva l’eleganza del Kaiser Beckenbauer; Carlos Mozart nel Marsiglia di Tapie; Franco Baresi al Milan, cervello e radar della linea sacchiana. Leader veri.
E poi il mio preferito, il più iconico: Ronald Koeman, il “Rambo” olandese che da dietro lanciava, costruiva, decideva e che ha vinto due Coppe dei Campioni da protagonista (con il PSV e il Barca). Aveva un tiro che poteva buttare giù un muro in cemento.
L’Avvocato Agnelli si incapricciò di lui (lo sognava nella sua Juventus dei sogni con Sacchi o Maifredi in panchina), bussò alla porta della Philips (ironia della sorte suo nipote John l’ha comprata dopo 30 anni) ma Rambo costava troppo ed era anche lontano dalle idee di calcio di Boniperti.
L’eredità di Scirea pesava, l’Avvocato ci aveva visto giusto. Il povero Gaetano è stato sottovalutato nella storia del calcio per aver svolto in modo funzionale quel ruolo di regista difensivo, non è un caso che era nato come centrocampista (all’Atalanta aveva iniziato in mediana). Il secondo goal nella finale Mondiale al Bernabeu nasce da una sua incursione elegante e efficace. Senza Scirea la Juve dei tre mediani (Benetti, Tardelli e Furino) non avrebbe mai battuto i record del 1976/77.
Su Koeman, arrivò prima un certo Johan Cruijff che aveva rifondato il Barcellona su di lui, su un difensore che pensava come un numero dieci, era lento ma aveva un senso della posizione che lo faceva giocare spesso d’anticipo sugli avversari (ricordo un Juventus-Barcellona semifinale di Coppa delle Coppe con Maifredi in panchina e Baggio in versione super eroe, Koeman resse da solo gli 1 vs 1).
Platini lo raccontava come un avvertimento: senza regista, nessuna orchestra suona e quella Juventus non suonava (ci vorrà Lippi nel 1994 per tornare in vetta).
Quel tema torna d’attualità in casa bianconera.
I registi con la maglia numero 6
Erano gli anni in cui il calcio cambiava pelle. Il libero classico e regista difensivo è sempre esistito ma non era più staccato rispetto ai marcatori, le linee difensive si riallineavano, il pressing divorava gli spazi. Eppure i più moderni, i più intelligenti, continuavano a costruire da dietro.
Il Parma di Scala con Minotti, il Toro di Mondonico (finalista UEFA) con Roberto Cravero, il Genoa prima del Professor Scoglio e poi di Bagnoli con il compianto Gianluca Signorini (libero elegantissimo e veloce).
Il Metz di Julio César, brasiliano che giocava da pensatore nel cuore della retroguardia (si mise in luce nei mondiali messicani con la nazionale verdeoro e Maifredi se ne innamorò al punto dal portarlo alla Juventus quattro anni dopo).
Persino l’Olanda campione d’Europa nel 1988 aveva due centrocampisti schierati da difensori centrali: Koeman (che giocava con la numero 4) naturalmente e Rijkaard.
Il libero staccato e i Mondiali del ’90
Il libero staccato ritornerà di moda, in parte, dopo 3-4 anni, nei mondiali italiani del 1990, in particolare seguendo l’assetto della Germania campione del Mondo e soprattutto della difesa a tre del Belgio con il centrocampista aggiunto Grun (pedina tattica preziosa anche al Parma).
Dal 1986 al 1990, in genere l’assetto era molto di ispirazione sacchiana con quattro difensori che giocavano in linea. Chi aveva una figura capace non solo di difendere ma anche impostare, aveva una marcia in più. Questo era il succo del discorso di Platini (e presto arriverò all’attualità).

Rijkaard e quella finale contro il Lokomotiv Lipsia
Riprendendo il discorso su Rijkaard… quanta eleganza nascosta dietro quella compostezza e un fisico da paura. Lo vidi la prima volta nella finale di Coppa delle Coppe dell’Ajax di Cruijff contro il Lokomotiv Lipsia (da non confondersi con l’attuale Red Bull Lipsia). Era il calcio prima della caduta del Muro.
C’erano Van Basten, Rijkaard, Van ’t Schip — e io mi innamorai di tutti e tre. Una cotta paurosa, di quelle adolescenziali. La storia del calcio mi ha dato ragione.
Quando Rijkaard firmò per il Milan, il mio cuore di juventino si rabbuiò, ma il cervello s’inchinò. Perché aveva tutto: visione, equilibrio, ritmo. Era un regista travestito da centrale difensivo, come Koeman, come Baresi, come tutti quelli che giocavano pensando. Nel Milan giocava a centrocampo, in Nazionale invece faceva il centrale.
Gli olandesi, il calcio totale e la Juve di oggi
Gli olandesi erano — e restano — giocatori totali.
Persino Gullit, che tutti ricordano per le treccine e i gol, iniziò da libero all’Haarlem e poi nel Psv pre-Koeman. Chiuse la carriera da difensore al Chelsea, allenatore-giocatore, come se il cerchio dovesse per forza tornare al punto d’inizio.
E allora oggi, pensando alla Juventus di Spalletti, la mia mente torna lì, a Platini.
Perché forse il problema non è solo il centrocampo, ma la regia arretrata, la costruzione vera, quella che parte da dietro e dà un senso a tutto.
E se l’idea di vedere Koopmeiners (che ieri ha giocato da braccetto) trasformarsi in un moderno libero, un “Rambo Koeman” bianconero, può sembrare un’eresia, in realtà è un’idea affascinante e anche efficace.
Gli olandesi sono giocatori universali: se la Juventus di Spalletti ha bisogno di qualità nell’impostazione della manovra, mi esalta l’idea di vedere Koop utilizzato per rompere la prima linea di pressione avversaria ma soprattutto impostare con qualità e velocità da dietro la manovra a bruciare un tempo di gioco per sorprendere gli avversari.
Non solo come braccetto di difesa a sinistra ma anche come libero classico con due marcatori ai suoi fianchi: Bremer (o Kelly) e Kalulu (o Gatti). Una sorta di nuovo Rambo Koeman, lo so che è una provocazione, ma se trovassimo una soluzione così in pianta stabile, avremmo risolto anche il problema del regista a centrocampo.
Il ritorno del pensiero

Liberi…. di pensare calcio
Non è nostalgia, è memoria tattica. Il calcio, come la vita, ha bisogno di cervelli che guidino il corpo.
Platini l’aveva capito trent’anni fa. Scirea, Baresi, Rijkaard, Koeman sono stati interpreti diversi di una funzione vitale nel calcio e nelle squadre più vincenti della storia del calcio.
Forse è tempo che anche la Juventus lo riscopra: non serve solo un regista in mezzo, serve un pensatore dietro.
Un libero, nel senso più nobile e antico del termine: libero di pensare, libero di costruire, libero di guidare, anche in linea.
